La gestione della proprietà intellettuale nella ricerca universitaria by Massimiliano Granieri
autore:Massimiliano, Granieri [Granieri, Massimiliano]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Diritto, Il Mulino/Ricerca
ISBN: 9788815227997
editore: Societa editrice il Mulino Spa
pubblicato: 2010-10-14T22:00:00+00:00
3. Il primo modello: la titolarità individuale
Come noto, la soluzione della titolarità individuale è stata introdotta in Italia ad opera dellâart. 7 della legge 383/2001, che aggiunse, nellâallora vigente legge invenzioni, lâart. 24-bis[8]. Le origini di questa soluzione vanno rintracciate formalmente nella presunta conflittualità causata dalle norme precedenti e â così almeno si leggeva nella relazione di accompagnamento al Pacchetto dei 100 giorni â nella pretesa incapacità degli atenei di generare e valorizzare la proprietà intellettuale. Oppure, il che è lo stesso, nella presunta capacità degli individui di farlo meglio degli atenei. Non è mancato chi, sia pure in maniera circoscritta, ha riconosciuto la bontà dei propositi della norma [Musso 2004, 1081].
Si tratta di motivazioni inconsistenti, sulle quali non sono mancate critiche puntuali [Libertini 2002, 2172; Scuffi, Franzosi e Fittante 2005, 350] e vistose smentite anche sul piano empirico [Crespi, Geuna e Verspagen 2007]. Per esempio, è stato dimostrato, dallâanalisi delle serie storiche delle invenzioni accademiche, che lâattività dei ricercatori pubblici italiani si è sempre mantenuta su livelli piuttosto elevati [Lissoni et al. 2006; Balconi, Breschi e Lissoni 2003], quanto meno se si guarda ai nomi degli inventori designati (cfr., supra, cap. 1). La titolarità dei brevetti, tuttavia, non sempre è confluita verso gli atenei. Non sono mancati naturalmente studi empirici che, con riferimento agli Stati Uniti successivamente allâadozione del Bayh-Dole Act, hanno fornito elementi per ritenere che una regola di titolarità istituzionale migliori le possibilità di licenziare la proprietà intellettuale [Jensen e Thursby 2001, 242].
I lavori citati dimostrano che, quanto meno, i ricercatori non erano così naïve dal punto di vista delle potenzialità della proprietà intellettuale; si trattava, piuttosto, di un chiaro fenomeno di under-reporting o, più tecnicamente, di «brevettazione del non avente diritto» [Ubertazzi 2004, 1736], pur in presenza di una situazione normativa (prima del 2001) che, in un modo o nellâaltro, avrebbe dovuto vedere le università titolari dei diritti di brevetto sui risultati della ricerca conseguiti dai propri dipendenti.
Per avere un quadro ancora più chiaro della fragilità delle motivazioni di politica del diritto sottese alla Tremonti-bis, si aggiungano le rilevazioni empiriche che collegano lâaccresciuta produttività degli atenei italiani in termini di brevetti allâaumentata autonomia universitaria, favorita legislativamente a partire del 1980, e grazie alla quale gli atenei hanno progressivamente potuto dotarsi di proprie regole interne, uffici e procedure [Sobrero, Baldini e Grimaldi 2006; Pietrabissa e Conti 2005, 430], il più delle volte reinstaurando per via negoziale la regola della titolarità istituzionale[9]. Dunque, dellâaumento nella produttività in termini brevettuali sarebbero responsabili fattori relativi alla regolazione interna allâuniversità , più che fattori istituzionali [Baldini, Grimaldi e Sobrero 2007, 335, ai quali si deve la distinzione tra questi due ordini di fattori].
Ve ne era abbastanza perché si indulgesse con minore convinzione allâidea che, cambiando semplicemente la regola sulla titolarità , la situazione sarebbe miracolosamente divenuta rosea. Nondimeno, si rinunciò alla regola della proprietà istituzionale, proprio nello stesso torno di tempo in cui la Germania (non una repubblica fantasma) e tutto il sistema Cambridge rinunciavano alla titolarità individuale[10]. Il cd. Hochschulleherprivileg (privilegio del professore) è stato abrogato con legge 18 gennaio 2002, la quale ha modificato la sec.
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